STORIA ARCHIVISTICA | DANIELA DAL CIN /COMPAGNIA MARCIDO
MARCIDORJS & FAMOSA MIMOSA
Compagnia fondata nel 1984 dal regista, attore e autore Marco Isidori, dalla scenografa Daniela Dal Cin e dall’attrice Maria Luisa Abate (cui si aggiungono ben presto Lauretta Dal Cin, Sabina Abate e Ferdinando D’Agata, e nel 2000 Paolo Orrico); stretta tra la seconda ondata del Nuovo Teatro e il movimento dei Teatri ’90, inizia l’avventura teatrale guardando a Carmelo Bene e allestendo il primo Studio per Le serve, una danza di guerra (1985) dal testo di Jean Genet, per continuare con Shakespeare, Molière, Beckett, Pavese, riveduti secondo la sensibilità della compagnia e secondo le intenzioni creative del regista e autore Marco Isidori.
Alcuni loro spettacoli sono diventati iconici: Happy days in Marcido’s film, Bersaglio su Molly Bloom, Canzonetta. La scenografia è macchina scenica autonoma, giostra, gingillo, gabbia, carillon, ma anche prezioso alleato e talvolta ingombrante e costrittivo strumento per l’attore: scene radicalmente “altre” (l’ovale per Le Serve, la sfera per Una canzone d’amore; un “grande girello” per Happy days in Marcido’s Field, un velodromo per Una giostra: l’Agamennone, una televisione per Palcoscenico ed Inno), impongono una recitazione inusuale per
l’attore. Le soluzioni folli, di enorme impatto visuale di Dal Cin sono un
contenitore adatto per l’altrettanto folle drammaturgia e riscrittura di Marco Isidori, che ricama costruzioni testuali complesse. Le scene talvolta avvolgono l’attore in una nicchia o in una ragnatela, lo legano, lo appendono (come in Bersaglio su Molly Bloom, 2002), lo guidano nei movimenti come un burattino (in Spettacolo, 1992; La Locandiera di Carlo Goldoni è inciampata nel teatrino dei Marcido: conseguenze…, 1994). Televisioni che palpitano come esseri
viventi, scatole-forno o involucri rosa shocking abitati da farfalle giganti, o da stralunati personaggi alla Bacon, lampadine indossate da attori veri e finti (Bersaglio su Molly Bloom), costumi roboanti come armature appoggiati davanti al corpo come sagome di cartone con la figura contornata.
Uno spazio costrittivo e “occlusivo”, quello della Dal Cin per i Marcido, ma anche liberatorio; l’attore prende forza proprio dalla scena che è per lui come una maschera che lo rende altro-da-sé. Costume e scenografia vanno di pari passo, in vicendevole completamento a servizio della costruzione di mondi altri rispetto alla realtà. La scenografia, su stessa dichiarazione di Dal Cin, è la prima cosa che viene realizzata; nascono simultaneamente l’idea dello spettacolo e quella della messinscena.Il disegno è la base, l’ossatura del suo lavoro non la tecnologia. |